di Andrea Chiancone, R&D Manager
Automatizzare i processi di produzione con l’obiettivo di migliorare la vita quotidiana delle persone coinvolte è il cambio di mentalità decisivo per raggiungere un’automazione industriale efficace e sostenibile.
In una serie di tre articoli, esploreremo i motivi per cui le aziende più innovative scelgono di partire dalla prospettiva umana, partendo da un tema spesso sottovalutato: l’allocazione di funzioni e attività tra umani e macchine.
Una delle semplificazioni più frequenti nel mondo dell’automazione industriale riguarda la distribuzione delle attività produttive tra esseri umani e macchine. Lo spettro dell’automazione industriale va dallo scenario interamente manuale (automazione nulla) a quello interamente automatizzato (automazione massima), con varie fasi intermedie che prevedono l’interazione uomo-macchina su diversi livelli di complessità.
A oggi, l’interpretazione dominante di un sistema industriale automatizzato prevede che questo prenda in carico attività precedentemente svolte dagli esseri umani. Tra queste, quelle più tendenti all’automazione sono quelle ad alto rischio, fortemente usuranti, ripetitive e stressanti. In questo scenario, all’essere umano viene richiesto meno lavoro o una minore attenzione alla singola attività, grazie al supporto del sistema automatizzato.
Questo comporta un ripensamento del ruolo stesso dell’operatore industriale, il quale, spogliato delle attività manuali più dure, può ora svolgere un lavoro centrato su quelle capacità creative e decisionali. La letteratura scientifica abbonda di ricerche che mettono in evidenza l’impossibilità della tecnologia disponibile di sostituire definitivamente l’essere umano nello svolgimento di queste attività critiche.
Il tema dell’ampliamento delle competenze dell’operaio 4.0, per la sua rilevanza e complessità, è fuori dalla portata di questo articolo e sarà affrontato a parte. In questa sede, analizzeremo invece come questo scenario ideale non sia realizzabile per un mix di fattori psicologici che troppo spesso vediamo trascurati nel mondo dell’ingegneria dell’automazione.
L’ironia dell’automazione
Introdotto dalla psicologa cognitiva Lisanne Bainbridge in una celebre ricerca pubblicata nel 1983, il concetto di “ironia dell’automazione” identifica un paradosso dei sistemi di automazione, in special modo quelli industriali. L’ironia sta nel fatto che, in un sistema automatizzato caratterizzato da maggiore affidabilità, l’essere umano è deresponsabilizzato e presta minore attenzione a eventuali errori del sistema.
In altre parole, se in un sistema completamente manuale l’errore è identificabile come un’alterazione del normale svolgimento dell’attività produttiva, in un sistema parzialmente automatizzato l’errore rischia di diventare una normalità, benché rara, a causa della minore attenzione prestata dall’operatore e della riduzione della frequenza.
L’ironia dell’automazione è di fondamentale importanza nella progettazione dei modelli industriali del futuro, poiché mette in luce un elemento cardine: l’essere umano, quando oggetto di automazione, non si limita a svolgere meno lavoro, ma cambia profondamente il modo stesso in cui svolge le attività di cui è responsabile.
Questo effetto si verifica anche al di fuori del contesto industriale, come nel caso dei veicoli a guida semiautonoma. La riduzione delle attività previste dal guidatore dovrebbe essere compensata da una maggiore attenzione alla strada e alle condizioni di circolazione. Al contrario, molte ricerche mostrano come l’essere umano sia propenso alla distrazione e allo svolgimento di attività che riducono pericolosamente la soglia dell’attenzione, con rischi consistenti per la circolazione stradale.
Nel contesto industriale, effetti simili possono verificarsi su vari livelli di responsabilità, con potenziali effetti nefasti sia sulla sicurezza del processo produttivo sia sulla qualità dell’output. Per rimediare a questi rischi, è necessario progettare i sistemi di automazione per un’allocazione ottimale di attività tra esseri umani e macchine.
L’allocazione delle funzioni
L’allocazione ottimale di funzioni e risorse all’interno di un processo produttivo deve tenere conto del rapporto profondamente asimmetrico tra automazione e comportamento umano. Se l’operaio della seconda rivoluzione industriale era vittima di alienazione per le precarie condizioni di lavoro di un sistema produttivo in profonda trasformazione, quello della quarta può esserlo a causa una transizione non ottimale nella ridistribuzione dei ruoli.
Per quanto difficile da standardizzare in un framework applicabile genericamente in tutti i contesti, è possibile identificare quattro best practice da applicare nella progettazione dell’automazione industriale, in grado di ridurre l’impatto degli effetti psicologici:
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mappatura degli elementi che impattano sulla vita lavorativa dell’operatore
Anzitutto, il punto di partenza consiste nella mappatura degli elementi che impattano sulla vita lavorativa dell’operatore sotto tre punti di vista: processuale (attività svolte), relazionale (umano-umano e umano-macchina) e funzionale (ruolo nell’ecosistema). Gli interventi di automazione possono quindi essere indirizzati in modo da mantenere un equilibrio tra le tre componenti. Dopo che il sistema è entrato in vigore, l’evoluzione di questo assetto va aggiornato per eventuali correzioni.
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misurare il lavoro dell’operatore dopo l’automazione
Un secondo accorgimento consiste quindi nel misurare il lavoro dell’operatore dopo l’automazione, andando a valutarne la diversità, il peso e la connessione con attività svolte da altri esseri umani. Un bilanciamento adeguato di questi fattori porta a uno scenario ideale in cui l’operatore non presenta gli effetti psicologici descritti precedentemente. In TeamDev, misuriamo questi fattori con una serie di variabili rilevabili anche tramite gli stessi sistemi automatizzati esistenti nell’impianto produttivo.
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aumento della componente relazionale del lavoro
La terza area di intervento consiste nell’aumento della componente relazionale del lavoro, con scambi di informazioni tra operatori e una più semplice comunicazione uomo-macchina.
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creazione di meccanismi di engagement favorisce la concentrazione dell’operatore
Infine, la creazione di meccanismi di engagement favorisce la concentrazione dell’operatore riducendo i margini di rischio. Sebbene l’engagement sia trasversale a tutte le componenti descritte in precedenza, specifici accorgimenti possono essere messi in atto per intervenire nei momenti più critici, quando l’attenzione rischia di calare sotto un livello di soglia.